DEVIANZA MINORILE-Aspetti psicodinamici e sociologici di un problema
di Carlo Calabrò e Pino Rotta;
Le ipotesi di lavoro e le argomentazioni teoriche che affrontano la devianza minorile esigono un approccio sia psicodinamico che sociologico al problema. Le cause della devianza vanno ricercate, in parte, nella formazione della personalità dell'individuo. Partendo dalla concezione freudiana della personalità nelle sue componenti di id, associato agli impulsi aggressivi innati e di super-ego, con funzioni di modulazione della socializzazione, tramite il quale si forma la coscienza morale (cioè l'interiorizzazione delle norme che inibiscono gli impulsi dell'id), l' ego, attraverso l'esame della realtà funziona da filtro e di mediazione tra id e super-ego. La devianza troverebbe le sue cause in una inadeguata socializzazione che determina un imperfetto funzionamento del super-ego, e quindi un disadattamento. Secondo questa teoria le origini del disadattamento caratterizzano il rapporto del soggetto con i genitori nei primi anni di vita, all'interno della famiglia, e nella correlazione del processo di interazione, formatosi all'interno della famiglia con gli altri agenti della socializzazione, quali la scuola e le istituzioni. In sostanza un cattivo rapporto dell'individuo con la famiglia, la scuola e gli altri agenti socializzanti determina quelle carenze di interiorizzazione del sistema normativo che, a loro volta, producono devianza. Si evidenzia un inceppamento nei meccanismi sociali che regolano il processo di socializzazione e di integrazione, che assume, pertanto, i contorni di una patologia individuale e induce l'adolescente ad esibire comportamenti non conformisti. Allorché questo genere di disadattamento si manifesta come un fenomeno condiviso da più soggetti che assumono i comportamenti devianti quali valori alternativi al sistema sociale, la devianza può essere interpretata come sintomo e stimolo all'emergere di valori e bisogni innovativi, in tal caso l'analisi del fenomeno affrontata attraverso l'approccio sociologico. In un sistema sociale, integrato intorno a valori universalmente condivisi, la devianza sarà considerata alla stregua di una disfunzione in grado di metterne in pericolo la stabilità. Ma la devianza può rappresentare anche il sintomo dell'emergere di nuovi valori e di nuovi bisogni socialmente rilevanti, sarà quindi opportuno analizzare le manifestazioni del fenomeno onde ridurre le contraddizioni sociali e limitare l'impatto negativo sui principi organizzativi del sistema sociale. In questo secondo caso il conflitto sociale, di cui i comportamenti devianti sono manifestazione, svolge una funzione positiva di integrazione e di progresso a condizione che non si ponga fuori della struttura di legittimazione del sistema. Secondo l'analisi sociologica del fenomeno della devianza sembrerebbe che i soggetti devianti sono da ritenersi tali non tanto perchè investono la singola personalità , quanto per l'atteggiamento che la società ha nei loro confronti. Un'azione in sè può essere o meno deviante a seconda del contesto sociale ed ambientale in cui viene compiuta. In tal senso alcuni sociologi (1) ritengono che la società operi una selezione che individua i soggetti caratterialmente predisposti ad assumere un ruolo deviante, tra gli appartenenti alle classi più deboli, economicamente e socialmente, adottando dei supporti culturali per legittimare questa etichettazione. Esistono contesti culturali in cui l'immagine del soggetto deviante non sarà basata sulla conoscenza diretta del fenomeno, ma su informazioni mediate e stereotipate, tali da fare accettare la criminalizzazione dei soggetti devianti che si rivelano anticonformisti rispetto ai valori dominanti nella società. Secondo questa teoria l'analisi della devianza presuppone una struttura della società stratificata in classi, in cui il comportamento deviante è messo in atto, in forma più o meno cosciente, come segno di rifiuto di tale struttura, mentre la reazione della società, che si estrinseca attraverso l'emarginazione dei soggetti portatori di comportamenti devianti, rappresenta la difesa che la classe dominante mette in atto a protezione dei privilegi acquisiti. I fenomeni di devianza giovanile tipici delle società occidentali degli anni sessanta/settanta che manifestavano una posizione di contestazione radicale nei confronti del sistema politico e sociale dominante, privilegiano simboli connotativi, modelli e stili di vita completamente anticonformistici (basti ricordare che lo slogan di moda di quei tempi, tra i giovani, era "sesso, droga e rock&roll", dove però per droga si intendeva l'uso di droghe leggere quali l'hashish e la marijuana, e solo per alcuni gruppi, l'L.S.D.). Tale fenomeno fu strumentalmente indirizzato, complice la crisi occupazionale che toglieva ai giovani l'alternativa tra la devianza e l'integrazione nel sistema sociale "normale", verso una trasgressione strutturata (2) tramite la tolleranza della diffusione delle droghe pesanti ed il progressivo irretimento dei giovani da parte della criminalità organizzata (o comunque negli ambienti della tossicodipendenza), che pur essendo un sistema di devianza sociale non si poneva (e non si pone tuttora) come alternativa al sistema politico dominante, con il quale anzi ha mantenuto un sempre più stretto rapporto di mutuo sostegno. Il concetto di trasgressione strutturata ha dirette implicazioni sul livello medio di devianza tollerata dalla società. Infatti se l'atteggiamento mantenuto dalle istituzioni nei confronti delle azioni trasgressive é quello di considerare funzionale una certa quota di devianza, quale valvola di sfogo delle spinte sovversive che assediano il sistema, e se questa quota raggiunge valori rilevanti, come ad esempio é avvenuto in Italia negli ultimi trent'anni, allora le azioni trasgressive dell'ordinamento normativo diventano fenomeno culturale connotativo di un sistema sociale (é il caso ad esempio della cultura mafiosa largamente diffusa nel Mezzogiorno d'Italia ). L'indagine freudiana sui prodromi dei sentimenti ha avanzato l'ipotesi che gli affetti umani possano avere una origine pregenitale e la loro comparsa manifestarsi ancor prima della strutturazione differenziale dei sessi. Alcuni autori scorgono nelle fasi pregenitali orale, uretrale e anale, sedi anatomiche dei primi approcci del bambino con la felicità i punti critici di innesto dei sentimenti e delle emozioni nella personalità, in fase di strutturazione, dell'individuo. Queste manifestazioni arcaiche dell'affettività seguono un percorso parallelo alla loro evoluzione fisiologica ed assecondano lo sviluppo della personalità se il trend di transizione alla maturità non subisce traumi a valenza squisitamente ostativa che condizionino l'iter dei comportamenti fantasmatici o reali, messi in atto dal bambino e che sono finalizzati al raggiungimento di uno stato edonico pervasivo. Sotto questo profilo, se il bambino non è impegnato a convogliare i suoi sforzi verso un'attività di difesa contro gli atteggiamenti aggressivi degli adulti, tende a sviluppare un'attività di autostimolazione genitale che in un primo momento assume i contorni di semplice indagine esplorativa e, successivamente, si trasforma in cosciente strumento di autogratificazione erotica. L'angoscia di abbandono, l'angoscia di separazione e le turbe della relazione madre-bambino sarebbero altrettante cause occasionali che elicitano la masturbazione compulsiva precoce, eretta come barriera protettiva a difesa dell'integrità psichica minacciata. Inoltre, nell'aggressività sadico-anale, caratteristica del primo anno di vita, si possono osservare le prime avvisaglie dei comportamenti predatori e voraci che scandiranno il ritmo comportamentale di alcuni soggetti nell'età adulta. L'età critica intorno alla quale si concentrano ed interagiscono molteplici fattori strutturanti che definiscono una tappa fondamentale nel processo di organizzazione della personalità si situa intorno ai dieci anni di vita dell'individuo. In questo arco di tempo che delimita concettualmente la seconda infanzia e che si estende dal sesto fino all'undicesimo-dodicesimo anno di vita si collocano avvenimenti cruciali che influiscono in maniera determinante sul corredo affettivo-sentimentale. Il consolidamento dell'identità e dell'orientamento di genere veicola un accumulo di aggressività derivante, nel bambino, dalla tensione cui è sottoposto nello sforzo di superare l'angoscia di separazione dalla madre ed il timore di rifusione, sentimenti nella cui modulazione è importante il ruolo che rivestirebbe il padre agevolando con la sua presenza rassicurante il deflusso delle pulsioni aggressive. Nella fase adolescenziale i ragazzi sviluppano quei sentimenti di ambivalenza verso sé stessi e verso i genitori provocati dall'intrinseco bisogno di indipendenza, da una parte, e dal bisogno di sicurezza e fiducia, dall'altra, propri di uno stato d'animo travagliato dalla tendenza ad affrontare autonomamente esperienze che rappresentano la scoperta del nuovo nella vita di relazione e dall'insicurezza che proprio il vissuto quotidiano di scoperta della novità produce. In questo processo di crescita l'adolescente pone sé stesso al centro delle proprie aspettative di esperienza relazionale con il desiderio di essere gratificato da un atteggiamento di fiducia da parte degli altri, ed in primo luogo dai genitori. Questa esigenza di fiducia é quasi sempre frustrata dall'atteggiamento acriticamente iperprotettivo dei genitori che in maniera più o meno volontaria tendono a mantenere uno stretto controllo sulle azioni dell'adolescente, atteggiamento vissuto da quest'ultimo come segnale di negazione di quella fiducia che invece egli cerca incondizionatamente. Ciò porta all'esasperazione della esigenza di affermazione della propria autonomia ed all'insorgere di comportamenti contrapposti e conflittuali rispetto a quelli dei genitori, fino ad arrivare ad elicitare uno spirito di sfida nei loro confronti. D'altra parte i genitori, che vivono essi stessi come novità l'esperienza dell'adolescenza dei propri figli, sono spesso portati, soprattutto se appartenenti alle classi di livello socioculturale medio-basso, a non cercare un confronto dialettico con i ragazzi agevolando l'insorgere di una conflittualità che impedisce agli adolescenti di essere i protagonisti principali della loro crescita e relegandoli ad un ruolo di subalternità e di appendice rispetto alle figure parentali degli adulti. Quest'atteggiamento dei genitori é causato dal "...divario tra l'adolescenza reale del figlio e le rappresentazioni che i primi si sono di essa costruiti sulla base dei ricordi della loro stessa adolescenza o del modello adolescenziale maschile e femminile mutuato nelle proprie famiglie di origine e -soprattutto per il genitore dello stesso sesso dell'adolescente, ma in una certa misura anche dell'altro -della corrispondenza tra tale modello e la sua stessa adolescenza e cosa ciò ha comportato per lui in termini di immagine di sé, di raggiungimento di una soddisfacente autonomia personale, di competenza nella relazione con gli altri, dentro e fuori della famiglia" (3). E' dunque attraverso questo atteggiamento di sfida dell'adolescente nei confronti dei genitori "avari di fiducia e di incoraggiamento", che egli cerca situazioni relazionali alternative ai modelli di integrazione offerti dal proprio nucleo familiare, dove convogliare i sentimenti di condivisione delle proprie aspettative di successo e della voglia di autoaffermazione.
D. CHAPMAN, Lo stereotipo del criminale, Ed. Einaudi Paperback, 1969.
R.M. WILLIAMS, Jr., American Society, Knopf, New York, 1951.
A. DELL'ANTONIO, La famiglia, in Ragazzi di mafia, pag. 240, Ed. F. Angeli, Milano 1993.